INTERVISTA con Marco Conti – Aspettando l’alba
Oggi con noi c’è l’autore di Aspettando l’alba: MARCO CONTI. Gentilmente risponderà a qualche nostra domanda, e QUI potrete trovare tutte le informazioni sul suo libro 😀
Titolo: Aspettando l’alba
Di: Marco Conti
Data: 23 luglio ’17
Acquista su: Amazon
Matteo lavora per una piccola testata giornalistica di Roma, ma ambisce a qualcosa di più. Quando meno se lo aspetta e nel modo più inconsueto che abbia mai potuto immaginare, la sua carriera prende una piega decisamente positiva. La sua vita cambia totalmente: i soldi non sono più un problema, ma l’aspetto sociale ne risente molto. Carmen, storica coinquilina con cui ha intrecciato un’amicizia profonda, non lo riconosce più.
La sua relazione con Silvia fatica a decollare. A frenarlo come sempre, sono le stesse paure e angosce che l’hanno costretto ad andarsene da Bergamo parecchi anni prima. Un fatto accaduto negli anni della sua adolescenza, ha condizionato e indirizzato la sua vita in maniera irreversibile. In mezzo a questa crisi interiore, Matteo cerca contro tutto e tutti di mantiene quella posizione che da sempre ambiva, ma che rivela aspetti che non aveva previsto. Saranno le stesse persone che tanto hanno creduto in lui, a porlo di fronte a un bivio.
INTERVISTA:
1. Come è nata l’idea di scrivere “Aspettando l’alba”?
“Aspettando l’Alba” è il mio secondo romanzo ed è quello che più ho sentito mio: questo racconto, mi ha permesso di terminare il mio “Strip-tease al contrario”, come lo definirebbe una mia amica scrittrice, ovvero mi ha permesso di parlare ancora una volta del mio passato e delle emozioni che mi ha lasciato. E’ una teoria secondo la quale, chi scrive compie appunto una sorta di “Strip-tease al contrario”, parlando di sé e del proprio passato, dapprima in modo insistente, ma via via sempre meno rilevante. Ci si denuda, si ha il bisogno di farlo, di cercare infondo a sé le motivazioni e gli stimoli per scrivere e per farlo, si parte dalle emozioni vissute in prima persona. Avevo voglia e bisogno di raccontare il mio passato, degli amici con cui sono cresciuto, quelli con i quali ho intrapreso un lungo percorso di vita che continua ancora oggi. Ecco perché la scelta dalla frase di Nelson Mandela: ” “Niente come tornare in un luogo rimasto immutato ci fa scoprire quanto siamo cambiati” . Matteo, protagonista del romanzo, dopo un percorso lavorativo ed umano a Roma, sente il bisogno e il richiamo della sua terra, per chiudere il cerchio e ripartire proprio dalle sue origini.
Con questo lavoro ho partecipato al Premio Calvino da cui ho avuto una buona recensione che potete trovare nel mio blog. Anche la stampa locale ne ha parlato bene, per questo motivo, ho stampato 100 copie tramite una tipografia e le ho distribuite ad amici e parenti. Non contento, l’ho riscritto seguendo i consigli dei giurati del Premio Calvino (cambiando anche nomi ai personaggi). E’ nato così l’e-book che potete trovare su Amazon al costo di 0.99 cent./euro (gratis per 5 giorni ad Ottobre!!).
2. C’è qualcosa di autobiografico?
Come già ho detto, c’è molto di autobiografico. Ci sono i luoghi dove sono cresciuti: il cortile di mia nonna dove ho trascorso gran parte della mia infanzia e soprattutto ci sono gli amici di sempre, quelli dell’adolescenza, delle bravate, le amicizie vere che sono sopravvissute agli eventi della vita, che mi hanno formato come uomo e addirittura come padre.
3. C’è un paragrafo o un capitolo che ti ha emozionato di più scrivere? Se sì, ce la fai leggere?
Sono tante le emozioni che mi hanno portato alla stesura di questa storia, ma se proprio devo scegliere un paragrafo, direi che il più emozionante è quello in cui descrivo gli amici d’infanzia del protagonista Matteo, perché in realtà quei personaggi sono i miei amici, quelli con cui sono cresciuto e gli aneddoti che ho raccontato, non sono frutto della mia fantasia, ma sono tutti realmente accaduti. Ve li faccio leggere più che volentieri, eccoli:
…quella sigaretta in bocca che ci faceva sentire i migliori, con il motorino perennemente in riserva e il desiderio di riuscire ad arrivare alla fine del viale su una sola ruota.
Erano “gli anni delle immense compagnie” come recitava una delle canzoni più celebri di Max Pezzali e la mia era veramente un’immensa compagnia. Eravamo inseparabili, ci si muoveva in massa, e come sempre ci si dava appuntamento alla panchina che qualcuno aveva imbrattato con le solite scritte stupide, ma che tutti sentivamo come punto di riferimento. D’estate le fronde degli alberi del viale che la ospitava, si toccavano e davano a chi lo imboccava, la sensazione di entrare in un tunnel. Era lunghissimo e sembrava ancora più lungo quando ci si arrivava in due sulla stessa bicicletta e chi pedalava doveva fare uno sforzo notevole sia per il peso che trasportava, che per la scarsa visibilità che comporta avere una persona seduta sul manubrio. Mi sembra quasi di sentire il profumo dei glicini in fiore quando ripenso a quei pomeriggi fatti di ore trascorse alla panchina a chiacchierare, a ridere e a progettare futuri più o meno irraggiungibili o serate di baldoria collettiva. Era proprio durante queste serate che davamo il meglio. Come sempre accade all’interno delle grandi compagnie, si formano dei piccoli sottogruppi. E’ una cosa naturale, fisiologica, probabilmente dovuta al fatto che ci si sente più simili, o perché si hanno più cose in comune. Per me i migliori erano e resteranno sempre Aldo Riva detto “il gatto”, Mirko Rossi detto “Bernacca”, Roberto Guerini detto “ il tromba”, Matteo Vinci detto “Teo” e Renato Rivolta a cui non avevamo mai osato dare un soprannome, a causa del suo carattere un po’ ruvido.
Renato era il classico bravo ragazzo, di buona famiglia, non faceva mai niente di azzardato o di potenzialmente pericoloso; serio e morigerato, era un tassello importante del nostro gruppo, era la mente, il calcolatore. Piaceva molto alle ragazze, ma sembrava non gliene andasse mai bene una. Riusciva a trovare difetti anche alla ragazza più ambita del paese. Aveva un piccolo problema: si addormentava ovunque, persino in discoteca e puntualmente ci faceva rimediare delle figuracce con ragazze alle quali stavamo
lavorando magari da settimane.
“Il gatto” era un grande: il suo carattere pacato e il suo animo buono, calzavano a pennello con il suo volto rotondo e perennemente rosso e sudato. Gran bevitore, non mancava mai di celebrare degnamente una serata con qualche bicchiere di troppo che poi lo portava a combinare disastri fortunatamente sempre rimediabili. Come quella volta che tornando da una di queste serate salì sulla cinquecento rosso fuoco che spesso mio padre mi prestava, ma non chiuse bene la portiera e arrivati alla prima curva a gomito lo vidi sparire dal sedile come risucchiato da chissà quale forza misteriosa. Dopo i primi attimi di panico generale, lo vedemmo alzarsi ridendo e sottolineando quanto Dio protegga sempre le persone che si sbronzano. Ricordo che raccontammo questa storia fino allo sfinimento.
Mirko Rossi meglio noto come “Bernacca” era un mio acquisto, nel senso che lo avevo introdotto io in compagnia ed era subito piaciuto a tutti. Aveva un po’ del saputello, ma non faceva pesare questo suo credere di saper tutto e il nome Bernacca arriva proprio da una delle doti che pensava di avere: la previsione meteorologica. In quegli anni le previsioni del tempo della RAI venivano date ogni sera dal celebre Colonnello Bernacca, che però il suo lavoro lo sapeva fare. Per Mirko invece non c’era tregua, un errore dietro l’altro, ma non si perdeva d’animo e quasi ogni giorno ci spiegava come le nubi si muovevano in funzione del vento e come questo movimento avrebbe portato il sole piuttosto che la pioggia. Puntualmente la previsione si rivelava sbagliata, salvo alcune sporadiche volte in qui la fortuna gli dava una mano.
Matteo Vinci detto “Teo”, era il burlone del gruppo. Non riuscivo mai a capire quando faceva sul serio e quando scherzava. Gli piaceva prendersi gioco di tutti, forse lo faceva anche per distogliere l’attenzione dal fatto che era veramente brutto. Le ragazze lo adoravano, ma nessuna accettava mai di uscire con lui. Il suo essere sempre allegro, ci faceva supporre che questi continui rifiuti non rappresentavano per lui un grosso problema, ma probabilmente era anche una sorta di maschera che si era costruito negli gli anni e da cui si sentiva protetto. Questo suo scherzo continuo, però lo portava anche a imbattersi in incidenti di percorso poco simpatici, dovuti alla scarsa credibilità che ne ricavava. Un pomeriggio infatti, in compagnia del suo inseparabile cane prese la macchina di suo padre e dopo aver percorso parecchi chilometri, si fermò in aperta campagna, per godersi una piacevole passeggiata. Al ritorno, salirono in macchina e solo allora si accorse di avere le scarpe piene di fango. Senza pensarci due volte, scese per liberarsi almeno dei pezzi più grossi. Proprio in quel momento successe l’inimmaginabile: il cane, passò dal sedile passeggero al sedile conducente e per guardare meglio dal finestrino appoggiò le zampe sul pulsante di chiusura portiera
chiudendo Teo all’esterno. Naturalmente le chiavi erano all’interno dell’abitacolo. Il cane aveva chiuso Teo fuori dalla macchina e si agitava come un matto strappando sedili e tappeti. Fortunatamente passò un ragazzo che Teo mandò alla panchina a cercare qualcuno di noi che gli desse una mano. C’eravamo tutti, ma nessuno volle credere a questa storia e Teo dopo alcune ore, si trovò costretto ad abbattere un finestrino per poter tornare a casa.
Ed ecco il tromba, soprannome dato dalla sua professione: l’idraulico che in bergamasco si dice “trumbè”. Roberto era un tipo un po’ trasandato, lo dicevano i suoi abiti, i suoi capelli perennemente lunghi e disordinati, ma soprattutto lo diceva la sua macchina. Una Dyane color ciclamino ammaccata ovunque, rattoppata con pezzi riciclati qua e là e un odore di sigaretta all’interno che toglieva il respiro. Era diventata la macchina simbolo del nostro gruppo. Roberto era l’unico ad averne una completamente sua, mentre noi usufruivamo di quella dei nostri genitori, che naturalmente non era sempre a disposizione. La radio conosceva solo un tipo di cassette, quelle di Vasco, altro non si sentiva e mentre si viaggiava verso una nuova meta, le casse lavoravano a mille, rendendo difficile la comunicazione all’interno. Roberto andava fiero del suo Dyane, lo rappresentava e lo identificava meglio di qualunque altra cosa.
Con questi cinque inseparabili compagni, vedevo la vita piena di emozioni, di speranze e qualche volta di angosce. Dividevamo tutto, gioie e dolori, bocciature e promozioni, giornate interminabili, partite di calcio interminabili, cassette VHS ascoltate fino alla nausea.
Alcune volte, la cassetta finiva e ripartiva più volte in quei lunghi pomeriggi senza che nessuno si prendesse la briga di toglierla o di cambiarla.
La radio della macchina di Roberto, era una delle prime con l’auto reverse. Lo sapevano tutti, non mancava mai di sottolinearlo a ogni occasione. Un po’ lo invidiavo, devo essere sincero: aveva coronato un sogno, aveva fatto una follia da duemilionisettecentotrentamila lire che aveva pagato a rate, in sei mesi…
4. E’ il tuo primo romanzo?
No, è il secondo. Il primo si intitola “In equilibrio sopra la follia”, l’ho pubblicato con una casa piccola casa editrice che mi ha fatto venire l’avversione verso le piccole case editrici…purtroppo esser presi in giro sulle proprie passioni è davvero spregevole, comunque è acqua passata che mi è anche servita a qualcosa.
E’ un romanzo che ho scritto ispirato da una frase di una delle più belle canzoni di Vasco Rossi: “Sally”…una poesia! La frase è: “La vita è un brivido che vola via, è tutto un equilibrio sopra la follia”. Penso che in queste parole ci sia tutto: l’assurdità e la bellezza della vita che ci schiaccia e poi ci fa volare, sembra finita e invece riparte. Bisogna saper vivere ogni momento, come se fosse l’ultimo. Ne è nata una storia che a breve diventerà un e-book che pubblicherò sempre come kindle
Amazon, non lo posso abbandonare in un cassetto! Il mio terzo romanzo “L’anima non si arrende”, che ho stampato in 100 copie e con cui ho partecipato al Premio Calvino, diventerà anch’esso a breve un e-book.
E’ il primo romanzo in cui non c’è nulla del mio passato: il mio strip-tease è terminato e i personaggi sono usciti dal buio e mi hanno perseguitato finché anche l’ultima riga della loro storia non è stata scritta. Penso che dei tre romanzi, sia il più ricco, il più costruito. Ne potete trovare uno stralcio sempre nel mio blog, dove ci sono anche i miei racconti: quelli che ho scritto per me, quelli che ho scritto per RadioRai Plotmachine e quelli che ho scritto perché lo dovevo a una persona speciale che non c’è più: mio padre.!
5. Hai altri progetti a cui stai lavorando? Ci anticipi qualcosa?
Quando finisco di scrivere un romanzo, sono “svuotato”, per alcuni mesi nulla riesce più a ispirarmi, a catturarmi. Non so per quale ragione, ma è così. Poi, all’improvviso qualcosa comincia a prendere forma nella mia testa. Lentamente cresce e spinge per uscire, per essere scritto e raccontato. Il mio attuale progetto però, ha avuto un percorso diverso, è nato in pochi minuti, alla macchinetta del caffè, ispirato da un racconto di vita vissuta di un collega.
Si intitolerà “Tre giorni poi sarà per sempre”. E’ la storia di Giorgio e Chiara che, innamorati da sempre e prossimi al matrimonio, trascorrono le serate nel cantiere in cui si sta costruendo la casa dei loro sogni, forse irrealizzabili. In questo luogo clandestino, in questo tratto di terra spezzata dal mondo, al lume di una candela, Giorgio e Chiara si confidano, si amano e attraverso un cannocchiale, rubano tratti di vita vissuta dalle famiglie che vivono nel palazzo vicino. Proprio attraverso questo cannocchiale, Giorgio scoprirà qualcosa che turberà la sua anima al punto da mettere in discussione le sue certezze che verranno poi ulteriormente minate da una sfida che gli amici (scettici di fronte all’intenzione di Giorgio e Chiara di sposarsi) lanceranno ai futuri sposi e che potrebbe scuotere le fondamenta di un amore apparentemente granitico.
La storia si svilupperà fra Milano, Barcellona e Madrid e ci porterà a riflettere sull’amore, sulla forza delle nostre certezze e sull’imprevedibilità della vita.
Ringraziamo MOLTISSIMO Marco Conti per la sua disponibilità e gli facciamo un grosso IN BOCCA AL LUPO!!
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